Tra i simboli tradizionali Europei alla cui sempre maggiore riemersione ed utilizzo stiamo noi assistendo e partecipando, colpiscono particolarmente l’immaginario anche comune i segni ideografici ed archetipici appartenenti agli alfabeti germanici conosciuti con il nome di Rune. Non è interesse di questo articolo discutere a proposito della loro riscoperta da parte di svariati fenomeni culturali ne per ora affronteremo l’argomento di come si siano effettivamente conservate e tramandate, talora con perdite o aggiunte semantiche, nella cultura germanica ed europea; l’argomento è talmente vasto da richiedere una trattazione maggiormente accurata, da parte di più autori, nel corso dei prossimi numeri della nostra rivista e della sua consorella pubblicazione internazionale. In ogni caso intendiamo noi come Rune i caratteri degli alfabeti antico-germanici e scandinavi nella loro successione alfabetica e magica conosciuta come F-U-TH-A-R-K, dal nome delle prime sei lettere. Questi caratteri ebbero una lunga storia, che va dal primo secolo AEC fino agli inizi dell’età moderna, dove con molte modifiche e con un utilizzo ormai praticamente solo profano erano ancora utilizzate e comprese nella Svezia e nell’Islanda. Non che un utilizzo ‘profano’ non sia mai stato alieno a questa scrittura; era piuttosto la sacralità della lingua e della scrittura stessa presso i nostri Avi Europei a rendere magici questi segni, a far assumere loro un valore ideografico ed archetipico oltre a quello meramente fonetico. Già il Von List, nella sua opera di ri-etimologizzazione del tedesco e delle lingue germaniche, rendeva chiaro il campo semantico di Runa rintracciando il sostantivo norreno rún, attestato nelle iscrizioni, che oltre ad indicare i singoli segni del fuþark va anche a delineare, come in altre lingue dello stesso ceppo il concetto di segreto; ancora, nella lingua tedesca, il verbo raunen significa “bisbigliare, sussurrare”. Archeologia e linguistica ci mostrano le rune nel loro aspetto di una delle più importanti istituzioni culturali e linguistiche comuni alle popolazioni germaniche. Va inoltre detto che le prime iscrizioni runiche esprimenti periodi compiuti, risalenti ai primi secoli dell’Era comune, sembrano mostrare una lingua essenzialmente unitaria, quasi senza particolarità dialettali che poi saranno i tratti distintivi delle lingue germaniche tardo-antiche e contemporanee.
Ma passiamo ora a rintracciare l’origine storica di questa affascinante scrittura carica di simboli. Le prime apparizioni di questo alfabeto sono da valutare attorno alla seconda metà del secondo secolo EC, dove appaiono per lo più ad attestare la proprietà di oggetti sacri o bellici e in iscrizioni funebri o celebrative. Abbiamo la certezza dell’ordine delle lettere a causa dell’uso antico di riprodurre per intero la sequenza alfabetica, probabilmente a scopo religioso, a mo di cornice o di completamento di un epigrafe, oppure addirittura di iscrivere semplicemente questa sequenza a se stante su di oggetti, massi erratici o menhir. In realtà , il riscontro archeologico dell’utilizzo di Rune da parte dei Germani è da retrodatare per lo meno all’epoca del principato di Augusto. In quest’epoca iniziano ad apparire segni ideografici singoli identici alle rune alfabetiche, a scopo amuletico, quali ad esempio l’iscrizione su oggetto dei caratteri Algiz o Teiwaz. Appaiono nel medesimo periodo anche combinazioni di caratteri, quale la parola ALU, che rivedremo nel corso di questo articolo. Quello che non appare ancora è la certezza di un uso alfabetico e fonetico di questi caratteri, che possiamo attestare con sicurezza solo in un periodo posteriore. A riguardo dell’origine di questi caratteri si sono fatte molte ipotesi. Molto cara al pangermanismo, all’ariosofia o al nazionalismo tedesco è la tesi dell’origine autoctona ed antichissima delle Rune. Dal punto di vista della correttezza storica tendiamo a rifiutare questa impostazione, anche se ci permettiamo di considerare affascinanti alcuni aspetti di questo pensiero che, se messi nel giusto contesto, contribuiscono non poco a far luce su parti di questo ‘mistero’ ancora poco chiare e su cui torneremo in seguito. Quando invece ancora si attribuiva erroneamente l’emergere delle Rune nell’epoca delle migrazioni al tramonto dell’Impero Romano, in particolare negli ambienti classicisti e letterati dei paesi romanzi, si cercava di ricondurre questi segni all’alfabeto latino e/o greco che questi popoli avrebbero appreso nel corso del loro conflittuale scontro-incontro con il limes imperiale, tanto ad occidente tanto ad oriente. Benché ci siano forti analogie con l’alfabeto latino, questi studi hanno ampiamente dimostrato di essere ormai superati. Appare molto più plausibile, anche avvallandosi semplicemente al ‘colpo d’occhio, una derivazione dagli alfabeti diffusi in epoca pre-romana e repubblicana nell’Italia centro-settentrionale e nell’arco alpino, vale a dire gli alfabeti che esprimevano la lingua gallica cisalpina, etrusca settentrionale, retica e venetica, tutti a loro volta derivati dalla variante transappenninica dei caratteri etruschi diffusa nella Dodecapoli Etrusco-Padana a partire dal 6° secolo AEC. A suffragare questa tesi troviamo l’utilizzo di questi alfabeti nelle primissime manifestazioni della lingua germanica, come ad esempio nel caso emblematico dell’elmo di Negau, ritrovato in Slovenia con altri reperti simili. Questo elmo, di natura probabilmente sacerdotale come i suoi 28 omologhi risalenti al 4 secolo AEC, e’ inciso con caratteri etrusco-retici che pero’ vanno ad esprimere parole germaniche, nella fattispecie la dedica Harigasti Teivo, interpretato come “al dio Harigastâ€, forse un nome di Wotan, oppure “ad Harigast e Teiwazâ€, vale a dire Marte e Mercurio. Gli omologhi sono tutti marcati con la stessa scrittura, che va invece ad esprimere una lingua celtica o celtizzante, oppure la lingua retica nella sua purezza.
Chiarita la curiosa e stretta parentela tra Reti ed Etruschi, nota anche agli antichi geografi, ed essendo gli elmi ritrovati a Negau una sorta di rimando a fogge in voga tra gli Etruschi svariati secoli prima, capiamo di ritrovarci di fronte all’ennesimo caso in cui andiamo a notare una forte influenza etrusca arcaica nell’espressione della religiosità dei popoli dell’arco alpino, tanto siano essi indigeni, come i Celti autoctoni del Piemonte e dell’Insubria pedemontana e i preindoeuropei Camuni, tanto vi siano successivamente calati da occidente come le compagini galliche transalpine. Tutto questo va ad inquadrarsi in un preciso asse Sud-Nord di contatti reciproci e scambievoli lungo le linee commerciali della via dell’ambra, che ad un certo punto dell’età del bronzo creò un ponte tra culture sorelle che andava dall’Etruria arcaica fino alla Scandinavia, e le cui rimanenze tracciarono il loro lascito ancora molto a lungo durante l’età del ferro. Nella comunità di Negau, probabilmente celtica del ceppo del Norico, dagli evidenti arcaismi etrusco-retici nelle forme del culto, devono essere giunti ad un certo punto avanguardie, primavere sacre, di quelle che saranno le epocali invasioni germaniche dei secoli a venire, che a lungo metteranno a dura prova le nazioni celtiche e Roma stessa. Alcuni elementi di etnia germanica, come il portatore dell’elmo, dovettero raggiungere posizioni di spicco in quella comunità ed in altre, come testimonia l’onore sacerdotale di un nome germanico, divino o di persona che sia, tra nomi di origine celtica ed alpino-italica.
L’elmo di Negau, ed altri reperti similari, ci mostrano come già a partire da molti secoli prima dell’Era Comune, i popoli germanici utilizzassero la scrittura ed incominciassero ad adattare la loro lingua ai caratteri etruschi. A questo punto, riferendoci tanto al mondo degli studi accademici, tanto al mondo degli studiosi della Tradizione, troviamo diverse impostazioni atte ad approfondire in che modo sia avvenuta questa ‘derivazione’ e quale che sia, a livello anche metastorico e spirituale, la sua portata.
Vi e’ chi, partendo dalla negazione o minimizzazione dell’unità di fondo della civiltà europea antica, afferma semplicemente che il fenomeno dell’emersione delle Rune presso i Germani sia solamente un tassello del processo di ‘inculturazione’ unidirezionale dal Mediterraneo verso Nord, chi vedendo nell’Italia arcaica non tanto l’importantissimo centro iniziatico e geomantico quale che è, ma addirittura una sorta di “perduta Atlantideâ€, come nelle suggestive ma a mio troppo parere fantasiose tesi del Ravioli, chi invece classificando la cultura etrusca, spesso agendo in malafede, come “orientaleâ€, ‘para-semitica’, e vedendo in questo passaggio di conoscenze dall’Etruria al Nord l’ennesima conferma del quanto mai ammuffito, ma evidentemente ancora diabolicamente attraente nel suo semplicismo, Ex Oriente Lux, mischiando allegramente archeologia e dottrine tradizionali, con buon menefreghismo del fatto che i sommi studiosi della Tradizione, riferendosi alle fonti antiche, hanno sempre sostenuto che in tutte le dottrine sapienziali il compimento del mistero solare si riferisce al Nord, o tutt’al più all’Ovest, a seconda se prevalga il mito polare, o quello ‘atlantico’, in ogni caso nella sua apparente morte. Vediamo entrambe queste tesi, affascinante ma limitante nella sua forse esagerata poeticità nazionale la prima, inquietante e sospettosamente scontata la seconda, come risposte, in buona e cattiva fede, alla esagerata e propagandistica tesi ur-germanista e germano-centrica, oggi per fortuna anacronistica, che rovesciò in modo netto e radicale l’orientalismo generato dai mille anni in cui il cristianesimo ha giustificato e ‘completato’ la sua genesi storiografica aggiungendo Grecia, Roma ed Egitto alle sue orientali si, ma ben misere origini. Torniamo dunque alla nostra genesi etrusca delle Rune. A contrastare le tesi espresse qui sopra vi è da notare il fatto che non siano mai stati ritrovati alfabeti “ibridi” tra l’emergere dei caratteri runici e la scrittura etrusca settentrionale con cui sono registrate le prime forme del germanico. Tutto questo lascerebbe pensare che l’introduzione di una scrittura alfabetica, con tutti i risvolti anche sacrali della cosa che agli Antichi erano ben noti, sia giunta ai Germani tramite una mediazione etrusca o nord-italica ma che il Futhark come sistema, che cambia la successione alfabetica nonché adatta gran parte dei caratteri ad esprimere ideogrammi ed archetipi della lingua proto-germanica, sia invece un adattamento inscindibile dalla cultura e dalla Forma Tradizionale Germanica e sue derivate. Vi è da specificare che un cambio così drastico dell’ordine alfabetico come quello rappresentato dal passaggio tra alfabeti nord-italici e quelli runici è quasi unico nella Storia a noi conosciuta. Risulta quindi evidente che l’uso dell’alfabeto sia ovviamente una importazione ma, constatando l’evidenza della complessità oggettiva di questo vero e proprio cambio di sistema archetipico di riferimento, riteniamo più che plausibile anche il fatto che nella Germania antica fosse presente una certa classe dirigente perfettamente in grado di creare un proprio sistema di lingua sacra e di adattare i propri simboli ed archetipi ad una nuova conquista sul piano materiale. A sua volta vediamo che gli Etruschi non “inventarono†il proprio alfabeto ma che esso derivo’ dalla colonia greca eubea di Cuma, e che esso fu usato e adattato dagli etruschi e dai popoli della loro koinè a partire dal VII AEC., circa 2600 anni fa. Questa variante del greco, come tutte le altre, derivò storicamente e materialmente dalla scrittura fenicia probabilmente a sua volta derivante da forme corsive ed abbreviate della scrittura egizia antica, a cui i popoli mediorientali, commercianti di natura, attribuirono un più comodo e rapido valore alfabetico e posizionale. Pur sottolineando a nostra volta la diversità esistente tra gli antichi orientali e gli Europei non dobbiamo però credere alla versione sussidiariesca del mondo antico con i Fenici a recitare esclusivamente la parte dei commercianti: sicuramente essi, su ‘imitazione’ degli antichi egizi e degli altri popoli già dotati di scrittura ,quasi tutte ad ideogrammi, attribuirono un valore magico ai segni e codificarono una scienza sacra sul loro alfabeto. I popoli ellenici, che già scrivevano con la ancora non decifrata scrittura cretese, crearono una variante di queste scritture adottando le vocali, che in una lingua ariana non possono essere ignorate, e similmente a tutti i popoli di allora, sacralizzarono la loro forma di scrittura come sicuramente erano già sacri gli ideogrammi e le proto-scritture precedenti, che troviamo in epoche antichissime anche nell’Europa centro-settentrionale, con notevole somiglianza con le molto successive Rune. Ecco perché, pur non negando una origine materiale mediterranea dell’alfabeto, non ci sentiamo di squalificare in toto la tesi dell’origine archetipica autoctona Europea, e specificatamente germanica, delle Rune. La sacralizzazione della lingua e della scrittura di cui parliamo avvenne di volta in volta ad ogni passaggio di testimone attribuendo la scrittura ad una Divinità riverberante energie Ermetiche come Toth in Egitto, Hermes, Tages presso gli etruschi, il germanico Wotan e il suo omologo scandinavo Odhinn, Ogmios e Dagda presso i Celti e, sorprendentemente, certi aspetti arcaici, sovente celtici ed italici, di Ercole in quanto dio-super-uomo. Con questo non riteniamo che, attribuendo ad una divinità l’invenzione della scrittura, si volesse nascondere l’origine materiale della medesima in quanto sappiamo bene come nell’antichità difficilmente persisteva lo Iato tra materia e spirito vigente nella decadenza odierna, ma bensì riteniamo che si volesse per cosi’ dire ‘mettere a terra’ la divinità dell’archetipo-scrittura attribuendo la sua origine alla dimensione del Mito in maniera poco sorprendentemente analoga alle origini mitizzate delle Stirpi e alla mitizzazione delle ‘scoperte’ cardine della storia dei popoli, in un fenomeno che Dumézil ha ampiamente studiato come alla base della storia mitica Romana o dei più tardi miti Irlandesi, fenomeno da non confondersi invece con l’anti-mitico e proto-moderno evemerismo, non a caso quest’ultimo universalmente riciclato dalla critica cristiana al paganesimo. Non escludiamo nemmeno, anzi per natura della mentalità dell’epoca e delle ricorrenze che la forma ariana Europea assume nella Storia crediamo che le divinità in questione fossero già a loro volta legate ad aspetti comunicativi come lo sciamanismo, la proto-scrittura ideografica, l’estasi artistica e creativa del bardo e che questi archetipi divini ‘non aspettassero altro’ che la cultura materiale facesse si che si scoprissero nuovi aspetti di Loro. In maniera similare a quanto successe sul finire dell’età del bronzo nell’area ellenico-pelasgica, vediamo nell’Età del Ferro inoltrata una Europa centro-settentrionale che utilizza ancora ideogrammi e proto-scritture neolitiche molto semplici in cui i simboli ricordano l’albero, la luna, il sole, la freccia o motivi geometrici come lo swastika a cui sicuramente già si attribuisce, come è nella natura dell’Uomo, un valore sacrale e una origine divina.
Alfabeti di origine materiale etrusca, già da secoli utilizzati dai popoli dell’Italia Settentrionale e dell’arco alpino incominciano ad emergere in maniera massiccia presso i popoli proto-germanici o dall’origine mista celto-germanica all’alba della grande migrazione che vedrà i Cimbri, i Teutoni e gli Ambroni mettere a soqquadro l’Europa intera, prima di essere fermati dal genio di Gaio Mario nelle battaglie di Aquae Sextiae e dei Campi Raudii presso Vercellae. Nei siti archeologici legati a questa migrazione che interessò gran parte d’Europa sono state ritrovate formule linguistiche chiaramente associate alla lingua e alla Forma Tradizionale germanica assieme a rimanenze di chiarissimo stampo etrusco ed alpino, come la riemersione in contesto germanico della formula amuletica ALU, rimasta in voga fino all’epoca medievale vikinga, ma che appare con il significato forse dedicatorio a ciò che e’ sacro, magico, già a partire dalle culture retica e venetica. Questo, se paragonato alla continuità stilistica delle pietre runiche, anche scandinave alto-medievali, con le stele proto-etrusche, liguri e leponzie dell’Italia e la persistenza di altre formule e nominativi di persona, come il mai tramontato Larth-Lars, si può notare che, dopo secoli della perdita d’indipendenza dell’Etruria e il suo assorbimento nel mondo romano, riverberano ancora presso i Germani eredità ancestrali della lingua e della Forma Tradizionale dei RaÅ›na. Se già da tempo i Germani più vicini al mondo celtico ed italico avessero incorporato questi elementi , scambiandoli probabilmente con altri, attraverso il secolare commercio sulla via dell’ambra come denoterebbe il ritrovamento di artigianato etrusco o addirittura villanoviano presso i popoli proto-germanici oppure se sia stato l’affacciarsi preventivo e prepotente di questi popoli sull’Occidente e sull’arco alpino durante l’epoca di Caio Mario, guidati da capi che li trascinavano raminghi da due generazioni fatti i conti con una nuova mentalità dovuta al lungo viaggio che li deve aver per forza di cose resi permeabili a nuovi orizzonti, rendendoli simili al vagabondo Wotan in cerca di conoscenza, per ora non ci è dato saperlo. L’idea è indubbiamente suggestiva e segue uno schema che si e’ già ripetuto più volte nella Storia che conosciamo, vale a dire la messa a terra di un Mito. E’ già abbastanza nota e dibattuta l’evidenza secondo cui l’archetipo di Wotan che conosciamo, mediato dall’Odhinn scandinavo o dalle saghe cortesi tedesche del Medioevo, ramingo, alla perenne ricerca di segreti magici, sciamano e non ultimo lo sbilanciamento delle tre funzioni indoeuropee nei Germani osservato dal Dumézil, deriverebbero dal grande rivolgimento nelle abitudini dei popoli germanici, da stanziali che erano verso uno stato nomadico di fatto, avvenuto nel complesso fenomeno delle grandi migrazioni al tramonto dell’Impero. Riteniamo curioso il fatto che nessuno pare aver notato la ‘coincidenza’ dell’emergere dell’alfabeto etrusco-germanico prima e dell’antico Futhark poi in un altro periodo di incertezza e migrazione epocale precedente di molti secoli al Völkerwanderung: la migrazione dei popoli proto-danesi e delle foci dell’Elba, ossia i Cimbri e i Teutoni, e l’effetto domino su tutto il mondo centro-europeo che ebbe questa migrazione che sappiamo quasi sicuramente causata dall’impaludarsi e dal lento ed inesorabile impoverirsi delle un tempo ricche foreste di quercia, iniziato già secoli prima causando altre migrazioni, fenomeno terminato con l’avanzare netto della torbiera e della conifera oltre che, nel caso dello Jutland e del basso Elba , da una serie di impaludamenti salmastri. L’archeologia ci mostra l’utilizzo massiccio dell’etrusco nel I a.e.c, salvo pochi casi antichissimi e notevoli come l’elmo di Negau, e l’emergere del Futhark già formato e con pochissime varianti a meta’ del II EC, con probabile sua preesistenza già da un secolo. Un paio di secoli dopo vi è già una prova archeologica di un adattamento della scrittura alfabetica alla lingua, ai suoni e, a giudicare dal carattere magico delle incisioni già adattato ad un sistema Archetipico germanico.
Giungiamo quindi alle nostre conclusioni. Sono dunque le Rune una emanazione della Forma Tradizionale Etrusco-Italica oppure esse a noi sfuggono, essendo radicate a fondo nell’essenza Teutonica? Un approccio materialista darebbe all’Etruria e all’Italia il primato, non riconoscendo nulla alla dimensione archetipica del problema. Un approccio meta-linguistico, forse più aperto ad una impostazione Tradizionale, ci direbbe che le Rune sono “proprietà †esclusiva dei Germani e dei loro discendenti linguistici, dall’Inghilterra alla Scandinavia. Noi vediamo invece come il problema dell’origine delle Rune sia una sfida ben più ardua e complessa che un giuoco di filologi e scavatori, una partita difficile da affrontare se armati solamente dei fragili schematismi figli della modernità . Vediamo come le Rune di fatto emergano dalla Storia, e di come esse tendano a sembrare ben più antiche di quanto si ritenga esse siano. La riemersione di arcaismi etruschi presso la cultura runica germanica anche tarda, di arcaismi già vetusti e
semi-abbandonati nell’Italia stessa, è solo un esempio di come questa scrittura, per ragioni che ancora non conosciamo e che forse sono nascoste nel tessuto della Storia, sia depositaria di strutture sacrali e mitiche che possiamo definire Arye ed Europee, custodite dalla Forma Tradizionale Germanica.
Concludiamo quindi rilevando una origine materiale sicuramente italica nonché un chiaro influsso italico anche nella cultura rituale germanica che fa da contorno ai segni, parimerito ad una profonda rielaborazione germanica degli stessi, che supponiamo essere avvenuta a partire da una élite Tradizionale autoctona, ma oltre a questo non possiamo constatare altro. Noi riteniamo, come lo ritenne il Von List, che le Rune siano prima di tutto un segreto, un sussurro. Che questo sia per una componente della loro origine che a noi é cosi’ vicina, che sia per il loro derivare da una ur-tradizione di ideogrammi magici europei, che sia per l’innegabile innesto positivo in termini di buon sangue che la tradizione germanica ha rappresentato per la Terra Italia nel suo periodo più buio, il sussurro delle Rune è giunto alle nostre orecchie e ai nostri cuori. E come il saggio e ramingo Odino continuiamo a cercarne il segreto, che forse è il segreto del Cosmo stesso.
di Fedrìgh Feréggn dij Bèli, tratto da Arya n°2