La ‘Devotio’ di Dominique Venner; un atto arcaico che spezza la desolazione contemporanea.

Articolo di: Vittoria Colonna. Tratto da Arya n°9.

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“ (…) cionondimeno, al crepuscolo di questa vita, di fronte agli immensi pericoli per la mia patria francese ed europea, sento il dovere di agire finché ne ho la forza; ritengo necessario sacrificarmi per rompere la letargia che ci sopraffà.

Offro quel che rimane della mia vita nell’intenzione di una protesta e di una fondazione.
Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale Notre Dame de Paris che rispetto ed ammiro, che fu edificata dal genio dei miei antenati su dei luoghi di culto più antichi che richiamano le nostre origini immemoriali.

Quando tanti uomini vivono da schiavi, il mio gesto incarna un’etica della volontà.
Mi do la morte al fine di risvegliare le coscienze addormentate. Insorgo contro la fatalità. Insorgo contro i veleni dell’anima e contro gli invadenti desideri individuali che distruggono i nostri ancoraggi identitari e in particolare la famiglia, nucleo intimo della nostra civiltà plurimillenaria.

Così come difendo l’identità di tutti i popoli presso di loro, insorgo contro il crimine consumato nel rimpiazzo della nostra popolazione. (…)”

Lo scorso 21 maggio 2013, la Francia e l’Europa intera hanno assistito ad un evento incredibile.
Un uomo, Dominique Venner, veterano di guerra, valente studioso e ricercatore, combattivo sostenitore di idee forti, si è sparato un colpo di pistola alla testa sull’altare di Notre Dame de Paris. Ha scelto l’altare del posto più sacro e significativo di Parigi per far scorrere il suo sangue prezioso.

Subito i media, avvezzi nella distorsione manipolatrice delle notizie, hanno riferito che un uomo si era tolto la vita per protesta contro la nuova legge sui matrimoni tra omosessuali, da poco approvata in Francia.
La maggioranza degli utenti allora ha iniziato a ripetere acriticamente questo slogan, che aveva lo scopo preciso di ridicolizzare e rendere assurdo un gesto, che come adesso vedremo, ha un valore e un significato che pochi riescono ad immaginare. In ambienti più vicini a quello di Venner, si è parlato di suicidio, si è parlato di un gesto fatto per attirare l’attenzione su certe lotte che l’uomo avrebbe portato avanti negli ultimi mesi di vita. C’è chi poi, leggendo superficialmente l’ultima lettera che Dominiqe ha lasciato, ha parlato di un suicidio dignitoso, di un suicidio filosofico, sulla scia dello stoicisimo.

Se queste persone avessero letto attentamente la lettera che Dominique ha lasciato di fianco al suo corpo esanime, capirebbero che le cose sono molto diverse.

“ritengo necessario SACRIFICARMI per rompere la letargia che ci sopraffà. OFFRO quel che rimane della mia vita nell’intenzione di una protesta e di una fondazione.
Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale Notre Dame de Paris che rispetto ed ammiro, che fu edificata dal genio dei miei antenati su dei luoghi di culto più antichi che richiamano le nostre origini immemoriali
.”

Come si legge, nelle sue parole non c’è volontà di suicidarsi. No, nelle sue parole c’è la volontà di compiere un sacrificio. Non si tratta di un sacrificio formale, simbolico; si tratta di un vero e proprio sacrificio rituale. Egli ha scelto un altare, il più importante altare di Parigi, per far scorrere il suo sangue, forgiato dalle guerre di gioventù e dalla coltura profonda che la sua mente ha prodotto.Il fatto che abbia esplicitamente fatto riferimento al suo gesto come ad un sacrificio, fatto con la precisa funzione di cambiare l’agonia del presente, dovrebbe togliere ogni dubbio in merito alle sue intenzioni.

C’è chi ha inteso, a partire dal suo gesto, una sua presunta appartenenza cattolica. Anche questa diceria è smentita, oltre dal fatto che un suicidio all’interno della cattedrale l’ha di fatto sconsacrata, dalle sue parole, che non sono affatto criptiche in merito:

“Scelgo un luogo altamente simbolico, la cattedrale Notre Dame de Paris che rispetto ed ammiro, che fu edificata dal genio dei miei antenati su dei luoghi di culto più antichi che richiamano le nostre origini immemoriali. (…) Non possedendo noi una religione identitaria cui ancorarci, abbiamo in condivisone, fin da Omero, una nostra propria memoria, deposito di tutti i valori sui quali rifondare la nostra futura rinascita in rottura con la metafisica dell’illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne.”

In queste brevi frasi esprime chiaramente che la scelta dell’altare di una cattedrale come luogo della sua morte sacrificale non ha nulla a che vedere con qualsivoglia velleità cattolica o genericamente cristiana.
Egli si riferisce, in modo chiaro e senza ambiguità, al Genio degli antenati, che ha costruito quel grandioso monumento, si riferisce alla
“memoria”, alle “origini immemoriali”che quel luogo richiama.

Dominique Venner dunque, ha sacrificato la sua nobile vita, vissuta in modo completo, su di un altare con lo scopo di andare a toccare delle corde immemori, il Genio degli Antenati.

     

 

“ (…) egli chiede al Pontefice Marco Valerio il rito che dovrà compiere per immolarsi per la salvezza delle legioni Romane; il Pontefice, allora, gli ordina di indossare la toga pretexta e, con il capo velato, levando la mano di sotto la toga fino a toccare il mento, di profferire, stando in piedi sopra un giavellotto posto sotto i piedi, la seguente formula :<Oh Giano, Giove, Marte padre,Quirino,Bellona,Lari, Divi Novensili, Dèi Indigeti, Dèi che avete potestà su noi e i nemici, Dèi Mani, vi prego, vi supplico, vi chiedo e mi riprometto la grazia che voi accordiate propizi al popolo romano dei Quiriti potenza e vittoria, e rechiate terrore, spavento e morte ai nemici del popolo romano dei Quiriti. Così come ho espressamente dichiarato, io immolo insieme con me agli Dèi Mani e alla Terra, per la Repubblica del popolo romano dei Quiriti, per l’esercito, per le legioni, per le milizie ausiliarie del popolo romano dei Quiriti, le legioni e le milizie ausiliarie dei nemici>. Quindi, dopo aver accomodato la toga alla maniera dei Gabinii, balza armato a cavallo e si lancia contro l’esercito dei nemici.”

In questo brano, preso da “Ab Urbe Condita” di Tito Livio, viene descritto dettagliatamente il rito della DEVOTIO, un rituale a carattere magico, in cui pronunciando il CARMEN riportato qui sopra, il console Publio Decio Mure sacrifica se stesso, la sua legione e l’esercito nemico, in questo caso i Latini, agli Dei Mani, ossia gli Antenati, e alla Terra. Fatto questo, Decio Mure si lancia con il suo cavallo tra i nemici, generando il terrore in mezzo a loro e venendo trafitto. Egli, subito dopo aver pronunciato la preghiera, era già morto, apparteneva già all’Altro Mondo. Era dunque divenuto sacer e da quel momento in poi avrebbe dovuto morire sotto i colpi delle armi latine.

     

 

“«Perché ritardo il destino della mia famiglia? E’ questa la sorte data alla nostra stirpe, di esser vittime espiatorie nei pericoli dello Stato. Ora offrirò con me le legioni nemiche in sacrificio ala Terra e agli dei Mani!”. Pronunciate queste parole, ordinò al pontefice Marco Livio, al quale aveva ingiunto di non allontanarsi da lui mentre scendevano in campo, di recitargli la formula con cui offrire se stesso e le legioni nemiche per l’esercito romano dei Quiriti. Si consacrò in voto recitando la stessa preghiera, indossando lo stesso abbigliamento con cui presso il fiume Vesseri si era consacrato il padre Publio Decio durante la guerra contro i Latini, e avendo aggiunto alla formula di rito la propria intenzione di gettare di fronte a sé la paura, la fuga, il massacro, il sangue, il risentimento degli dei celesti e di quelli infernali, e quella di funestare con imprecazioni di morte le insegne, le armi e le difese dei nemici, e aggiungendo ancora che lo stesso luogo avrebbe unito la sua rovina e quella di Galli e Sanniti, lanciate dunque tutte queste maledizioni sulla propria persona e sui nemici, spronò il cavallo là dove vedeva che le schiere dei Galli erano più compatte, e trovò la morte offrendo il proprio corpo alle frecce nemiche. »

Questo discorso fu pronunciato dal figlio di Decio Mure, alla battaglia del Sentino, quando i Romani, alleati ai Piceni, si trovarono ad affrontare una coalizione di Galli Senoni e Sanniti. Egli si rende conto del destino, della Pìetas, del Dharma della sua Gens, portata dunque a sacrificarsi per Roma. Stesso destino lo ebbe un altro successore della Gens dei Deci, durante la guerra contro Pirro.

Livio ci informa però che la Devotio non era solo prerogativa dei Consoli in battaglia, ma poteva essere attuata da qualsiasi cittadino Romano, per una giusta e grave causa a beneficio del Popolo e dell’Urbe. Il caso più emblematico di questa declinazione del auto-immolazione rituale fu il sacrificio dei Senatori durante il sacco di Roma, ad opera dei Galli, nel 390 a.c.. Essi si fecero trovare composti e immobili come statue nel Senato, pronti a farsi uccidere. I Celti rimasero bloccati nel vedere questa scena, probabilmente perchè riconoscevano in essa un qualche tipo di atto magico, simile a quelli che si praticavano nella loro cultura, strettamente imparentata con quella Italica; la tradizione vuole che l’incanto si spezzò quando un Celta tirò la barba ad un senatore “per controllare non fosse una statua” ricevendo dal vecchio una bastonata sulla testa: come era loro intenzione, furono tutti uccisi, sacrificandosi per il popolo Romano. Roma fu ad un passo dalla distruzione totale, il Fuoco di Vesta spostato a Chiusi presso gli Etruschi, il popolo nascosto nei boschi o tra le rovine di Veio, che si era addirittura pensato di rifondare abbandonando per sempre l’Urbe; solo il Campidoglio, colle fatale legato al dominio sull’intera area circostante resisteva all’assedio dei nemici. I Galli vinsero quella guerra, si allontanarono con un cospicuo bottino, ma non riuscirono a distruggere Roma ne ebbero fortuna da quella vittoria: una parte del tesoro razziato venne recuperato dal console Marco Furio Camillo e le loro terre natali della Romagna vennero saccheggiate dai Veneti.

La cultura romana antica è costellata di accadimenti simili, in cui c’è anche da annoverare il fenomeno dell’auto-immolazione, anche in assenza della presenza fisica del nemico, messa in atto dalle proprie mani. E’ il caso di Marco Curtio, giovane patrizio appartenente alla Gens Curtia, valente guerriero il quale, quando nel Foro comparve una profonda e larga crepa nel terreno, segno che proveniva indiscutibilmente dagli Dei Mani e siccome nonostante tutti i gioielli e gli oggetti di valore che vi venivano gettati, questa non si richiudeva, comprese quale gesto fosse richiesto: si armò con la sua armatura, prese tutte le sue armi, salì sul suo cavallo e si gettò senza indugio nella fossa, che si richiuse poco dopo. Questo sacrificio simboleggia che la cosa più preziosa che c’era era il Valore e questo era il maggior tributo che un popolo potesse offrire. L’eroica discesa di Marco Curtio è tutt’ora ricordata nei Fori Imperiali da una lapide arcaica.

     

 

Il termine DEVOTIO è quindi strettamente legato al contesto Romano o se vogliamo Italico; questo non significa che atti simili non fossero contemplati presso le consorelle popolazioni europee. Il caso più illustre è il sacrificio di Leonida e dei Trecento Spartani che si immolarono volontariamente nella Battaglia delle Termopili per scongiurare l’invasione Persiana. Leonida era consapevole del fatto che non sarebbero sopravvissuti: i Trecento Spartani guidavano non più di cinquemila opliti Greci contro un esercito sterminato che le fonti attestano essere nell’ordine di un milione di persone, tra guerrieri, mercenari, attendenti, schiavi e servitori, in ogni caso un numero di armati che non è irrealistico considerare di almeno trecentomila uomini. L’impresa di Leonida che, ad occhi moderni potrebbe sembrare una semplice ed ostinata difesa ad oltranza, in realtà fu un sacrificio di uno dei due Re, giuridicamente e sacralmente corrispondente ad un Console Romano, e dei migliori guerrieri che si erano offerti volontari prima di tutti gli altri mentre il resto delle autorità della città, pur tutti determinati a lottare, erano indecisi sul da farsi. In questo caso subentra anche il concetto antichissimo del sacrificio del Re Sacro il cui sangue fertilizza i campi di grano e ristabilisce un patto tra una Stirpe e la Terra, quando le cattive azioni compromettono l’armonia generale. Perchè, come affermava la significativa frase del film Excalibur, ispirato vivamente dal Mito Arturiano, “ Il Re e la Terra sono tutt’uno”. I Trecento Spartani morirono tutti, accanto a loro caddero dei giovani guerrieri Tebani, che decisero di offrire la loro vita come riscatto poiché Tebe si era alleata con i Persiani; il loro sangue si ricongiunse con gli Avi rivitalizzando tutto l’ethnòs ellenico che trionferà pochi anni dopo a Salamina e contemporaneamente, in Magna Grecia, gli Elleni d’oltremare riuscirono a scacciare la minaccia Cartaginese; di fatti Cartagine, approfittando della situazione critica dell’Ellade, si alleò ai Persiani, tentando di trarre profitto dalla guerra attaccando quelle colonie d’Italia che non potevano così chiedere aiuto alla madrepatria. Il fatto che anch’essi, contemporaneamente ai fatti di Salamina, subirono una serie di sconfitte decisive che li relegarono per secoli in un solo lembo occidentale della Sicilia, fu il risultato della portata e della potenza del sacrificio di Leonida e dei Trecento.

La potenza del sacrificio, lo scorrere del sangue dell’uomo valoroso, il superamento dell’individualità e il riconoscersi nella sinuosa serpe del Genio della Stirpe, l’apoteosi dell’eroismo che apre contemporaneamente la Porta degli Dei e la Porta degli Antenati, sono tutte mirabilia che accadono quando avvengono eventi ed atti di questa portata. La morte sacrificale, l’auto- immolazione per la propria stirpe e la propria Terra, poco hanno a che vedere con il suicidio stoico, atto estremamente rispettabile, ma che rappresenta semplicemente avere potere sulla propria morte, e quindi sulla propria vita.

La Devotio dunque, intesa nel suo senso più ampio e onnicomprensivo, è un atto arcaico, che porta memorie e valori che sono completamente assopiti in questa Europa malata . Per questo motivo sono rimasta violentemente colpita dal gesto di Dominique, poiché la volontà che l’ha spinto a un tale gesto, è quel tipo di Volontà cioè la Volontà di una Devotio. La sua lettera è chiara e cristallina: si è sacrificato su di un altare per ricongiungersi alla Memoria degli Avi, come Decio Mure invocò gli Dei Mani e la Terra e si ricongiunse ad essi; l’ obbiettivo di Dominique era ed è quello di ergersi “contro la fatalità”, di “combattere il veleno dell’anima”, di insorgere “contro il crimine consumato del rimpiazzo della nostra popolazione”. Tutti obbiettivi che evocano vivamente e con un impeto violento e arcaico, quella Devotio che non avrei mai creduto di “vedere” nell’era contemporanea. Notre Dame sorge dove un tempo c’era un tempio gallo-romano dedicato a Giove e Dominique ha dichiaratamene offerto se stesso a quelle potenze che pre-esistevano in quel luogo alla diffusione del Cristianesimo. Il fatto che poi abbia scelto di far scorrere il sangue su quell’altare, unito a tutte le altre considerazioni quivi fatte, dichiara che la morte di Venner, che chiamare suicidio sarebbe quasi offensivo nei suoi confronti, è una vera e propria Devotio. La Devotio di Dominique Venner irrompe come un fulmine deflagrante che squarcia ed illumina a giorno, per un istante, questa notte tenebrosa, questi tempi oscuri e fuligginosi che soffocano l’Europa e il Mondo intero. Egli ha compiuto un gesto dedicato interamente a noi, alla nostra Stirpe, alla nostra storia, non l’ha compiuto per se stesso. Non l’ha compiuto nemmeno con l’intento di provocare scalpore e stupore nell’opinione pubblica; dichiara infatti che:

“ Essendo impossibile liberare il discorso dominante dalle sue ambiguità tossiche, appartiene agli Europei di trarre le conseguenze”

dimostrando così dicendo di conoscere perfettamente la distorsione disinnescante con cui i media e i soliti noti avrebbero poi occultato il suo gesto.

La menzogna pubblica ha serpeggiato e dato i suoi frutti, ma questi maleodoranti chiacchericci maligni nulla possono contro la reale potenza del suo sacrificio. I grigi personaggi, i parassiti auto-elettisi elite, che pretendono di dominarci, manipolarci e vampirizzarci, sono in possesso di molto potere, ma non sono capaci di un simile gesto ne tantomeno lo sono i loro sottoposti, essendo immersi nell’individualismo più cieco. Non hanno potuto fare altro che, oltre a lasciar lavorare la stampa con i soliti metodi, mandare le loro prostitute di lusso, le famigerate Femen, a imitare e ridicolizzare il gesto mortale di Dominique. Questa gente non è altro che un ammasso di servitori pagati e compiacenti, schiavi con le catene dorate e i loro padroni sono ectoplasmi terrorizzati dalla morte che non possono minimamente comprendere un gesto che sembra provenire dal nostro passato più remoto.

Mai avrei creduto che potesse esserci, in questo mondo devitalizzato, un uomo di indubbio valore, che trovasse la forza ed il coraggio di attuare un atto così grande. Dominique si è privato ed ha donato la sua vita non in un impeto di disperazione infatti dice che:

“Sono sano di spirito e di corpo e sono innamorato di mia moglie e dei miei figli. Amo la vita e non attendo nulla nell’al di là, se non il perpetrarsi della mia razza e del mio spirito.”

Un atto così grande da meritare gratitudine e rispetto e che denuda, miseramente, i pietosi suicidi disperati che quotidianamente aumentano e piagano l’Europa. Suicidi che sono causati dalle morse letali ed illusioniste della finanza, suicidi di uomini schiavizzati fin nel profondo.

“Quando tanti uomini vivono da schiavi, il mio gesto incarna un’etica della volontà.”

Occorre ricordare anche questa frase, che in poche parole tratteggia e dipinge la nostra condizione, occorre ricordarsi di queste parole per attuare “una protesta ed una fondazione”.

Rinfocoliamo il Ricordo.

 

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