di: Ambra Italica
Islam ed Ebraismo, monoteismi semitici ma con una forte componente Etnica (Araba ed Ebraica) si distinguono dal Cristianesimo per avere una componente spiccatamente giuridica e politica, allo stesso modo delle nostre tradizioni, che contemplavano il divino prima di tutto in veste di Ius sacro, prima ancora che sotto forma di misticismo.
Per questo motivo il Cristianesimo Ortodosso, pur provenendo dalle medesime culture desertiche e come tale iniziando la sua avventura in Europa quale forza distruttrice e sovvertitrice, distruggendo templi e portando l’oblio agli Etnarchi delle nostre Genti, come bene esplicato dal simbolismo dell’aquila bicefala si sottopose parzialmente al potere temporale, civile, dando vita alla frattura tra laico e religioso, tra diritto “sacro” e diritto “profano”, frattura che non esisteva nelle nostre tradizioni indoeuropee ne tantomeno in quelle semitiche da cui le tre religioni abramitiche derivano. L’Ortodossia accetterà sempre, dando fede alla parola di Cristo che afferma “a Cesare quel che è di Cesare”, pur chiaramente cercando di influenzarlo, il potere temporale “romano”, da parte degli Imperatori bizantini, dei principi russi, slavi e romeni e persino quello di un potere nemico e forestiero quale quello turco, poi sostituito dalla riscossa degli stati nazionali.
Diversa in parte la concezione cattolica, che tentò più volte di sostituirsi al potere temporale, imperiale, o di sovrastarlo, nella secolare opposizione tra guelfi e ghibellini; anche qui vediamo come infine il Cattolicesimo si sia piegato ad utilizzare di fatto il Diritto Romano, o quel che ne rimane, e la lingua latina quale lingua sacra, al posto dell’ebraico.
Il protestantesimo, assorbendo tracce di ghibellinismo germanico mescolate con una mai sopita verve iconoclasta e anti-romana dei primissimi cristiani, di matrice semitica, tentò anch’esso di sanare la frattura Stato-Chiesa cercando di trasformare le sette riformate in Chiese di Stato, cosa che legalmente tuttora perdura, anche se di fatto l’incapacità di sostituire un diritto religioso a quello “laico” e l’utilizzo delle lingue nazionali come lingua liturgica causò anche qui una ritirata del “guelfismo” e una nuova scissione tra il mondo laico dello Stato e quello religioso, relegato alla scelta personale.
Ne consegue che mentre una invasione Islamica dell’Europa, o una improbabilissima invasione Ebraica, porterebbero ad una situazione in cui le leggi della Umma (che poi vuol dire “l’Etnos”, ma guarda un po’, anche se ha connotati “Imperiali”), o i precetti della Torah, prenderebbero il posto del diritto latino (e indoeuropeo), mentre l’arabo (o l’ebraico) prenderebbero il posto del latino, dell’italiano, dell’inglese, tedesco, norvegese, spagnolo, ecc. nella liturgia religiosa.
Ne consegue che, lungi da noi il negare le atrocità commesse dai cristiani di varie epoche nei confronti dei fedeli dei costumi Gentili tradizionali, la conversione al cristianesimo sia un atto assolutamente reversibile, assolutamente non indelebile, assolutamente non discriminante in assoluto tra un prima ed un dopo.
Mentre una conversione all’Islam farebbe si che il centro non fosse più Roma ma bensì la Mecca, con tutto ciò che ne consegue a livello sacrale-giuridico, la conversione al Cristianesimo altro non è che l’ennesima bestemmia universalista ed “atea” (come già si erano diffuse da tempo) nei confronti dei costumi e delle Leggi del Mos Maiorum; il cristiano non prega rivolto a Gerusalemme, ma tuttalpiù verso una Roma (o una Mosca, una Atene, una Londra, ecc…) “ebraicizzata”.
Benché il rito del battesimo sia volto a cancellare il sangue della madre, quindi a rimuovere dalla sua Gente il neonato e consegnarlo alla nazione “cattolica”, quindi “universale”, benché vari periodi di fanatismo abbiano manomesso gravemente le leggi e la Pax Deorum, benché tutti gli Stati sovrani Gentili (Impero Romano, Regno d’Armenia, regni Celtici e Germanici, Baltici, Slavi, ecc.) siano stati sostituiti da più comodi regnanti “laici”, di fatto il Diritto che continuiamo a seguire, le lingue che utilizziamo quando preghiamo, i simboli al di la dell’inquinamento dettato dall’ignoranza sono ancora tutti NOSTRI. Indipercui, benché inquinato dall’hybris di quei nostri Avi che per paura, ignoranza, violenza, tradirono i focolari e le Are, il nostro contatto con la Tradizione Avita è perfettamente legittimo, finché non si trasforma in parodia del culto pubblico di entità statali che non esistono più: in ogni caso “Dio” ha la radice di Dieus Pater, di Teiwaz, e non di Jahvé o di Allah (che deriva da Elohì), il nostro diritto è romano, o romano-germanico, i nostri morti sono comunque stati onorati, i rapporti con le nostre Terre comunque coltivati, seppur in modo spurio ed alterato dall’ignoranza e dalla presa di potere di Atei, Superstiziosi e “universalisti”.
Tutta questa lunga digressione per spiegare ai nostri lettori come mai, pur NON essendo Cristiani e non condividendo affatto le idee neo-guelfe di una “Europa Cristiana” non ci siamo mai sperticati in un continuo, deleterio ed improduttivo anti-clericalismo, ormai così comune nell’ambiente cosiddetto “pagano”.
Mille e seicentodiciotto anni fa, sul fiume Frigido, oggi in Slovenia, l’ultimo esercito Gentile Romano, fatto di Italici, Gallo-Romani e Germani, comandato per ironia da Eugenio, un cristiano che non voleva, per l’appunto, trasformare un culto misterico orientale (che pur professava) in una religione di Stato imposta sui culti aviti e tradizionali, affrontò un esercito cristiano, una accozzaglia di mercenari est-europei ed asiatici. I nostri avi, vittoriosi il primo giorno, perdettero la battaglia nel secondo, respinti da un forte vento da Est che sembrava favorire gli avversari; da li ai seguenti secoli il Culto millenario dei nostri avi Italico-Romani ed Indoeuropei d’Europa fu costretto a nascondersi, nel duplice esilio delle tradizioni popolari e folkloristiche da una parte (col rischio di sincretismo e di superstizione) e di una prigione fatta di nostalgie romantiche e letterarie nonché di segreti esoterici e alterazioni in chiave magistica dall’altra. In ogni caso, come abbiamo visto, gli invasori non riuscirono mai a cambiare il significato profondo delle nostre lingue e tradizioni, del nostro Diritto ne tantomeno di alterare le memorie custodite dal nostro Sangue.
Oggi nuovi invasori e vecchi nemici ancora premono per portare il fuoco di altri riti ed altri Loci nelle nostre Terre e di completare l’opera di annullamento dei rapporti millenari tra l’uomo europeo ed il Divino, rapporti che erano così ben dipinti dalla ricerca pia e regolatrice di una Pax tra Uomini e Dei, rapporti ben più antichi di Roma stessa, capaci di unire una vecchietta inglese del ‘800 ad un cacciatore del Paleolitico, un Romano imperiale ad un villanoviano, uno Slavo ad un Iberico. Alcuni di questi nemici furono già respinti da una Roma e da una Europa parzialmente contaminate dalla stessa matrice desertica ed iconoclasta, solo parzialmente Etnica in quanto distruttrice in primi di molti culti, riti e venerazioni già nella sua mediorientale terra d’origine; oggi molti “pagani” non considerano le vittorie di Lepanto, di Poitiers, di Vienna come vittorie “nostre” e anzi, in veste sempre e comunque anti-clericale li si vede gioire ad ogni nuova moschea e pretesa di ingerenze politiche degli islamici in Europa, quasi come se l’essere nemici (ma sarà poi vero?) di un nemico li rendesse di colpo amici. Questo “nuovo paganesimo”, nella sua duplice veste neo-spiritualista da una parte e “tradizionalista”, guenoniana, perennialista dall’altra, rifiutando completamente il concetto di “eredità di Sangue” (che noi non contempliamo in veste totalizzante, ma inserita in un contesto tradizionale di Sangue, Anima, Spirito, tanto per bandire gli equivoci), non comprendono come a Vienna si siano scontrate non tanto la Mecca contro Gerusalemme, ma una Roma (o meglio una Roma-Europa) parzialmente “giudaizzante” contro un’altro centro di potere, un’altra Legge, un altro Diritto, un’altra lingua, un’altro “Lapis Niger”.
Auspichiamo quindi, senza per questo berci un tutto americano e moderno “scontro di civiltà ” (che lasciamo volentieri a yankees, estremisti ebraici e musulmani salafiti), che nella naturale competizione Occidente-Oriente, l’Europa ed in seno ad essa Hesperia-Italia, la Saturnia Tellus, riprendano in mano le redini della loro identità , che i “pagani” neo-spiritualisti lascino il posto a Gentili come lo furono Giuliano, Simmaco, Pretestato, o nobili “barbari” come Arbogast, e che i cristiani si oppongano alle leggi forestiere come un Eugenio piuttosto che credere di servirsene, finendone divorati, come il tracotante Costantino o come l’orrendo ed empio Teodosio.
Essendo convinti che bestemmiare equivalga sostanzialmente a nominare, e quindi dare potere, siamo fermamente convinti che la battaglia sia prima di tutto legata al Rito e all’Etica; i nostri Fuochi sono accesi, le nostre preghiere recitate, la fedeltà all’Etica onorata quanto più possibile senza scadere nella superstizione: solo così un’Etica dell’Azione può “sostituirsi” ad una superstizione della non-azione o a forme tradizionali spurie ed implose, che agiscono in modo contaminato, debole, fiacco, avendo per nemiche sovente le loro stesse gerarchie; per questo motivo non ci interessa minimamente “forzare i tempi” e “convertire” improbabili masse neo-pagane in una forza anti-cristiana, anche perché non riteniamo sia prudente sostituire un qualcosa che avversiamo, ma che è comunque “qualcosa”, con il nulla assoluto, ben sapendo che questo ci attirerà le critiche di autoproclamati “pontefici”, “sacerdoti”, “druidi”, “flamini”, vampiri e lupi mannari. Il “nostro” Frigido è l’impegno quotidiano dell’onorare la Pietas e di restare il più possibili fedeli al Mos Maiorum (in senso letterale di “costumi dei padri” e non facendo rievocazione storica romana…); solo così lo strappo può essere ricucito, solo così, riconquistando lo sguardo benevolo degli Dei, dei Geni, dei Lari, l’homo-humus può farsi Vir, l’individuo farsi famiglia, la famiglia farsi Gente, la Gente farsi Popolo ed il Popolo conquistarsi l’Imperio, non con la propaganda simil-galilea ne sfruttando pubblicità derivante dagli interessi mediatici profani come la rievocazione storica, la musica, le arti, che se possono veicolare un messaggio avito certamente non possono MAI sostituire l’Azione incarnata dal Rito, Azione che se non supportata poi da un’Etica risulta fine a se stessa o talvolta deleteria (in quanto offensiva e parodistica).
Non sappiamo bene cosa ne pensino i nostri lettori e quali critiche ci attireremo, ma pensiamo che sia più vicino al ricordo di chi è morto per difendere la Tradizione avita l’offrire un grano d’incenso agli Dei, ai Lari e ai Penati, il difendere la propria famiglia e il proprio popolo piuttosto che il bestemmiare quotidianamente chi per ora “ha vinto”,per altro senza mettersi già nella posizione di chi sempre vince, poiché essendo padrone di se stesso non può mai perdere.
Chi è morto per il Mos, per il Dharma direbbero i nostri lontani cugini orientali, ha messo a rischio il suo dominio sulle cose terrene e apparentemente le ha perdute, ma gode della gloria trasfigurante di chi è caduto combattendo una guerra prima di tutto interiore, oltre che esteriore. Oggigiorno non crediamo che queste Anime coraggiose siano offese se qualcuno dei loro discendenti prega ancora quella croce che li ha sconfitti, non avendo potuto conoscere gli Dei senza maschere, ma semmai li offende l’ignavia di chi accetterebbe ulteriori sconfitte senza lottare. Con questo nel cuore, dopo più di mille e seicento anni, siamo ancora qui accampati sul Fiume delle Ere e il nostro motto, ora come sempre è “non passi lo straniero”.
P.S.
Senza voler incitare minimamente al sincretismo Gentile-cristiano, che aborriamo filosoficamente e pragmaticamente, lasciamo un piccolo omaggio tanto a chi crede che il rapporto Uomo-Dei sia morto col Medioevo, sia a chi ha sempre saputo scorgerlo ed amarlo pur dovendolo filtrare dal “segno dei tempi”. Se volessero i lettori perdonarci le nostre irrefrenabili boutades, se questa è Gerusalemme, se questa è la Mecca, allora il David di Michelangelo rappresenta Paperino:
Rosa das rosas e Fror das frores,Â
Dona das donas, Sennor das sennores.
1.
Rosa de beldad’ e de parecer
e Fror d’alegria e de prazer,
Dona en mui piadosa ser
Sennor en toller coitas e doores.Â
Rosa das rosas e Fror das frores,
Dona das donas, Sennor das sennores.
2.
Atal Sennor dev’ ome muit’ amar,Â
que de todo mal o pode guardar;Â
e pode-ll’ os peccados perdõar,Â
que faz no mundo per maos sabores.Â
Rosa das rosas e Fror das frores,
Dona das donas, Sennor das sennores.
3.
Devemo-la muit’ amar e servir,
ca punna de nos guardar de falir;
des i dos erros nos faz repentir,
que nos fazemos come pecadores.
Rosa das rosas e Fror das frores,Â
Dona das donas, Sennor das sennores.
4.
Esta dona que tenno por Sennore de que quero seer trobador,
se eu per ren poss’ aver seu amor,
dou ao demo os outros amores.
Rosa das rosas e Fror das frores,
Dona das donas, Sennor das sennores.
Una eccellente versione musicale di questa ‘cantiga’ medievale spagnola, per la quale non credo serva una traduzione, la potete trovare qui: http://www.youtube.com/watch?v=XgjZxQLiv7k
P.P.S.
Caso strano, molti degli epiteti utilizzati per la “Signora” sono epiteti religiosi Romani di alcune dee come Venere, Diana, Giunone, o si riferiscono a misteri esoterici legati ad Iside, Ecate…guarda caso certi colori e certi simboli, pur contaminati da un approccio superstizioso e forestiero, sono quelli di altre “Signore” che forse si dovrebbero approcciare con più umiltà e rispetto prima di inquadrarle in moderne, sessite e di fatto dissacranti teorie pseudo-religiose… ma anche questa è un’altra storia che non possiamo affrontare con la serietà che merita in questa sede!