Introduzione alla Sopravvivenza (da: Arya n°1 e n°3)

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Capitolo I

Di fonte in fonte, come non morire immediatamente

E’ di vitale importanza, per l’uomo saggio che conosce il proprio territorio, sapere come e dove procurarsi acqua e viveri di primissima necessità. 

Premetto che questo non è un trafiletto adatto a schizzinosi e sfaticati. 
In primis, una discreta conoscenza di corsi d’acqua e zone lacustri in alta montagna è fondamentale. 
Detto ciò, l’obbiettivo è escludere l’ipotesi di contaminazione dell’area a disposizione. Un fattore indicativo fondamentale delle condizioni idrico – igieniche è la presenza di specie ittiche del tipo timallidi e salmonidi (trota) e di predatori di grossa taglia (lucci). La presenza di alghe o ninfee non è indice di acqua salubre. Queste, infatti, si trovano anche in acque palustri. E’ sconsigliabile mangiarle, perché i rischi, dal semplice mal di pancia, passando per l’intossicazione da metalli pesanti, per arrivare al tifo, sono in agguato. Utilissimo premunirsi di cartine tornasole per rilevare il PH dell’acqua. Un PH acido infatti è dovuto alla presenza di nitriti, inodori e incolori, ma estremamente dannosi. L’acqua troppo basica, non è propriamente dannosa, ma ha uno scarso livello di Sali disciolti. In ultimo, anche la fauna avicola ha la sua importanza: rapaci pescatori (falco pellegrino), uccelli di minor dimensione come il Martin Pescatore e, anche se apparentemente pare non c’entrare con la questione delle acque, il Picchio, di qualsiasi sottospecie. Dove ci sono i picchi raramente c’è contaminazione. 
Appurati questi elementi, ammesso che non la si prelevi direttamente dalla fonte, per evitare di ingerire larve di insetti (e conseguente farcito minestrone) si consiglia di filtrare l’acqua. Si prepara un panno di cotone a maglia fina, o ancor meglio di seta, da riempire di sabbia (dopo essersi assicurati che la sabbia non contenga fango o terriccio). Lo si posiziona sopra ad un recipiente, a debita altezza, di modo che sgoccioli per bene. Si verserà appunto sopra l’acqua. Terminato il filtraggio, assistere all’ebollizione per una decina di minuti. 
Dai luoghi sopracitati si può trarre un blando approvvigionamento, in primis dalla vegetazione limitrofa: erbe di campo, punte d’ortica e cardi selvatici (da consumarsi previa bollitura). Per quanto riguarda le bacche e i funghi, richiederebbero un capitolo a parte: il rischio di avvelenamento è troppo alto, se non li si conosce (da sfatare è il mito delle bacche rosse: lasciatele dove sono, anche se i passerotti le mangiano). Per quanto riguarda altri frutti, a seconda ovviamente della stagione e dell’altitudine del loco, genericamente si possono trovare nocciole, castagne (attenzione alle “castagne matte”, quelle col guscio lucido), frutti di roseti spontanei, gelso (del gelso è commestibile solo il frutto. Astenersi dall’imitazione del baco da seta. Ha un enzima apposito per digerire quella foglia), ribes, more, meline selvatiche. 
L’argomento pesca, di fondamentale importanza, richiederà un capitolo a sé stante.

di: M.F. “Pestis Cornua”, da Arya n° 1

 

Capitolo II

Equipaggiamento da sopravvivenza/escursione

Potrà sembrare un banale elenco di oggetti, ma codesti possono fare la differenza o addirittura salvarci la vita.

Calzature: da escludere a priori scarpe da “tennis”, sandali e ogni tipo di calzatura di altezza più bassa della caviglia. Consiglio un prodotto solido e ben protetto, scarponi da montagna con una bella suola intagliata, punta in ferro sia per l’estremità anteriore che per il tallone. Se ne trovano delle più svariate misure, prezzi e fattezze, ancor meglio se è presente un tessuto chiamato neoprene, materiale impermeabile ed altamente isolante che permette ai pescatori di attraversare i fiumi in alta montagna là dove l’acqua è gelida, pur rimanendo con i piedi asciutti e caldi. Caso limite ma non errato sono gli anfibi. La misura ideale è da 10 a 20 buchi per lacci e si raccomandano calzini di lana: dopo una giornata di marcia tenderanno a raffreddar visi le estremità dei piedi, provocando dolore articolare alle dita. L’unico rimedio è riscaldare con scaldapiedi da sciatore (venduti in negozio i bustine da due) che hanno un’autonomia di circa 8-10 ore, raggiungendo anche temperature prossime ai 45 gradi! Oppure, se il cammino è finito, un buon fuoco è il rimedio migliore. Un’ultima avvertenza: nessuna pietà per le vesciche, bucatele tutte, altrimenti il giorno dopo vi causeranno una marea di dolori e fastidi.

di: M.F. “Pestis Cornua”, da Arya n° 3

3 Comments

  1. Rosa Salvàdga 02/28/2013 at 17:29

    I consigli di Pestis mi hanno salvato da piedi distrutti e raffreddamenti in alta quota più di una volta!

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  2. roma 05/13/2013 at 21:16

    Grazie per il vostro articolo, mi sembra molto utile, proverò senz’altro a sperimentare quanto avete indicato… c’è solo una cosa di cui vorrei parlare più approfonditamente, ho scritto una mail al vostro indirizzo al riguardo.

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    1. Ambra Italica 05/18/2013 at 13:56

      Forse non l’abbiamo ricevuta. Prova a controllare. Vale Optime!

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